L’edificio, che ospitava le carceri di San Tommaso, venne costruito tra il 1466 e i 1472 come convento delle suore del Corpus Domini. Nel 1783 venne unificato con il monastero retrostante, quello di San Tommaso appunto, da cui prese il nome. Nel 1876 il Regno d’Italia requisì il convento per farne il carcere cittadino e il tribunale. Dopo la chiusura definitiva del carcere, avvenuta nel 1994 circa, l’edificio ospita oggi una sede sussidiaria, adibita a deposito, dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia. Durante il Ventennio fascista questo penitenziario divenne uno dei maggiori luoghi di detenzione della città, in cui vennero rinchiusi i prigionieri politici in attesa di giudizio. Il carcere di “San Tommaso” venne anche utilizzato come luogo di reclusione per ebrei in attesa di deportazione. Il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del regime fascista, il carcere fu l’obiettivo di una grande manifestazione di protesta, che si concluse con la liberazione dei detenuti politici. Dopo l’8 settembre, l’occupazione tedesca e la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, partigiani e partigiane, tra cui i sette fratelli Cervi, dopo interrogatori e torture nel Carcere dei Servi, venivano rinchiusi nelle celle del “San Tommaso”, in attesta di deportazione o esecuzione. Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 1944 il penitenziario fu duramente colpito da un bombardamento alleato, che causò il crollo della sua cinta orientale, sino a compromettere tutta l’area circostante. Quella notte decine di antifascisti, tra cui Alcide Cervi, riuscirono a scappare dandosi alla macchia. Il 15 ottobre 1944 il carcere fu teatro dell’evasione di 41 prigionieri politici, che in gran parte raggiunsero le montagne per unirsi ai gruppi partigiani. Dopo la Liberazione, nelle celle del San Tommaso vennero rinchiusi i fascisti responsabili di crimini in attesa di giudizio dalla Corte d’Assise Straordinaria; fino alla chiusura continuò poi la sua funzione di penitenziario cittadino.