A Reggio Emilia, nel quartiere Gardenia, in via Regina Elena, sorgeva il “Calzificio Reggiano”. Oggi della fabbrica, inaugurata da Giuseppe Menada nel 1910, non rimane che l'elegante cancello d'ingresso con l'effige S.N. (Setificio Nazionale). Lo stabilimento, situato alle porte del centro storico della città, lungo i suoi quasi 80 anni di storia, assunse diversi nomi e l'ultimo, che rimase nella memoria collettiva, fu proprio “Calzificio Bloch” (1948-1978).
Sin dal principio la fabbrica di calze fu luogo di lavoro prevalentemente femminile e, insieme alle “Officine Reggiane”, rappresentò una delle prime industrie di Reggio Emilia. Il calzificio divenne famoso per la qualità dei suoi prodotti, per le tecnologie di produzione utilizzate e per la grande combattività delle sue operaie. Una comunità operaia che si impegnò a migliorare le condizioni lavorative a cui era sottoposta. Già nel giugno del 1914 le operaie del calzificio parteciparono alle manifestazioni della “Settimana Rossa”: una sollevazione popolare che, scoppiata da Ancona, si propagò in diverse regioni d'Italia. Le calzettaie nel luglio 1915 diedero vita alla “Lega operaia del Calzificio Reggiano” per poi diventare nel primo dopoguerra, insieme agli operai delle “Officine Reggiane”, tra le protagoniste del Biennio Rosso reggiano, attuando scioperi e proteste che si protrassero sino al 1921. Negli anni successivi, le operaie del calzificio si rivelarono tra le prime forze antifasciste della città. In fabbrica si insediò una cellula comunista, intitolata a Rosa Luxemburg, capitanata dalla militante Egle Gualdi.
Nel 1925 lo stabilimento cambiò nome diventando “Setificio Nazionale – Gruppo Snia Viscosa” e poi, durante gli anni Trenta, “Manifatture Maglierie Milano”, aumentando anche la propria forza lavoro, che arrivò a circa un migliaio di maestranze. Durante il secondo conflitto mondiale le operaie della fabbrica dimostrarono, ancora una volta, contro il fascismo e la guerra. Infatti il 12 aprile del 1942 tutte le calzettaie, all'epoca circa 800, scioperarono contro il turno domenicale imposto dal razionamento dell'energia elettrica. La protesta non ebbe successo e le operaie vennero tutte arrestate. Tuttavia l'agitazione rappresentò un importante momento di rottura nei confronti del regime fascista per la città di Reggio Emilia e non solo.
Il Calzificio, proprio come le Officine Reggiane, venne gravemente danneggiato dal bombardamento alleato dell'8 gennaio 1944. Sul finire della guerra le calzettaie tornarono in sciopero, l'8 marzo del 1945, organizzate dall'UDI (Unione Donne Italiane) e dai Gruppi di Difesa della Donna. Furono inoltre tra le protagoniste del corteo che il 13 aprile 1945 sfilò davanti alla Prefettura, per la pace e la distribuzione di beni di prima necessità. Nel dopoguerra si formò una Commissione Interna, gestita dalle operaie, che fu in grado di avere un certo controllo sull'organizzazione della fabbrica, rapportandosi con la nuova dirigenza Bloch. Dalla fine del secondo conflitto mondiale sino al 1978, lo stabilimento visse diversi momenti di agitazione delle maestranze, con proteste e scioperi, causati soprattutto dal tentativo di ridimensionare il numero dei dipendenti. Infatti le operaie, sotto l'impulso di una giovane generazione di sindacaliste e militanti, avviarono nuovi cicli di lotte, in particolare sulle condizioni di lavoro e di salute in fabbrica. Queste battaglie furono particolarmente rilevanti all'inizio degli anni Settanta.
Anche la fine del calzificio porta con sé la testimonianza di una caparbia lotta operaia, contro la chiusura della fabbrica, che rimase nella storia collettiva della città; il “Calzificio Bloch” dichiarò fallimento nel giugno del 1976. Le operaie risposero con un'occupazione, che si protrasse dalla fine di quello stesso anno alla primavera del 1978 quando volontariamente uscirono, per l’ultima volta, dai cancelli dello stabilimento.