Situata a nord-ovest della provincia reggiana, tra Caprara di Campegine e Praticello di Gattatico, Casa Cervi è oggi luogo di memoria e museo dedicato alla famiglia Cervi, al suo grande contributo e sacrificio nella lotta antifascista. Nel 1972, due anni dopo la morte di Alcide Cervi (1875-1970), padre dei 7 fratelli, il Comune di Gattatico, l’ANPI di Reggio Emilia e la Confederazione Italiana degli Agricoltori si impegnarono a creare un’istituzione museale presso l’ex casa colonica dei Cervi. La numerosa famiglia, composta da Alcide Cervi e Genoveffa Cocconi, i figli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore e le figlie Diomira e Rina, si trasferì in questo podere nel 1934. I Cervi erano una famiglia contadina, tradizionalmente cattolica, che divenne protagonista di un percorso politico e umano fondamentale per il nascente movimento partigiano. L’intera famiglia, anche se con ruoli e intensità diversi, partecipò allo lotta contro il nazifascismo. Un percorso capitanato da Aldo, il primo a dirsi comunista e a sviluppare una forte e compiuta scelta antifascista, dopo l’esperienza della prigionia. Infatti nel 1933, durante il servizio di leva, venne accusato di insubordinazione e condannato a tre anni di reclusione. Come per tanti antifascisti anche per Aldo fu proprio l’“università del carcere”, attraverso il contatto con altri prigionieri politici, a trasformare le sue convinzioni contro il regime in una visione politica consapevole. Un percorso familiare condiviso, guidato da Aldo, che portò all’intrecciarsi dell’impegno politico con una visione innovativa del lavoro in agricoltura, aperta ai nuovi saperi e nuove tecnologie. Sul finire degli anni Trenta, i Cervi organizzarono la loro lotta antifascista, innanzitutto da un punto di vista culturale con la creazione, insieme ad altri campeginesi, di una biblioteca clandestina circolante di libri proibiti dal regime. Con l’inizio della guerra, la famiglia si distinse nella lotta contro gli ammassi (il conferimento forzato di una parte del raccolto al regime), riuscì, grazie a diversi espedienti, a evitare l’arruolamento dei 7 fratelli (ad esclusione di Ettore) e, insieme ad una famiglia mantovana, si impegnò in stampa e diffusione di volantini e manifesti. In breve la famiglia Cervi diventò un forte punto di riferimento per l’antifascismo locale. Il 25 luglio 1943 la notizia della caduta del regime fascista venne festeggiata dai Cervi a Campegine, insieme ad altre famiglie, offrendo a tutto il paese una pastasciuttata in piazza. Con l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca, la “banda Cervi” pose le basi per il futuro movimento partigiano locale. Il cascinale della famiglia diventò una sorta di piccola base operativa antifascista, un rifugio per prigionieri alleati scappati dai campi di prigionia o per fuggiaschi malvisti dal regime. Già dall’ottobre del 1943 i fratelli Cervi, insieme a Otello Sarzi, Dante Castellucci e diversi altri, alternarono azioni armate sia in montagna (l’assalto alla Caserma di Toano e l’incontro con Don Pasquino Borghi) sia in pianura (disarmo del Presidio dei Carabinieri a San Martino in Rio e il fallito attentato al segretario reggiano del Partito Fascista Repubblicano Giuseppe Scolari). La “banda Cervi” attirò ben presto le attenzioni delle autorità nazifasciste e il 25 novembre 1943, dopo uno scontro a fuoco e l’incendio della loro casa colonica, vennero catturati dai fascisti i sette fratelli, il padre Alcide e diversi loro compagni (tra cui alcuni soldati alleati). All’arresto il gruppo venne trasferito al Carcere dei Servi di Reggio Emilia. Il 28 dicembre 1943 per rappresaglia, a seguito dell’uccisione di Davide Onfiani a Bagnolo in Piano, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore Cervi, e con loro Quarto Camurri, vennero fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia. Alcide Cervi rimase al carcere di San Tommaso sino al 7 gennaio 1944 quando, dopo il bombardamento alleato che colpì anche la prigione, riuscì a evadere.